Annali del Dipartimento di Architettura e Urbanistica per l'Ingegneria
Nella Ricerca

Curatori/Curators: Giuseppe Imbesi, Ruggero Lenci, Marina Sennato


Giuseppe Imbesi, Ruggero Lenci, Marina Sennato

Introduzione

Questo secondo volume degli Annali vede la luce in un momento delicato per l'Università italiana e per il suo futuro di istituzione pubblica che, accanto alla formazione superiore, dovrebbe presiedere alla ricerca di base.
Tale ruolo sembra, di fatto, contestato, forse perché considerato obsoleto, forse perché nell'attuale fase evolutiva della società gli spazi per la riflessione e lo studio si sono moltiplicati e riarticolati e non tutti ravvisano ruoli di eccellenza nel pensiero per l'università. Ne rimane colpita la funzione stessa della ricerca.
La situazione è certamente grave, come si riscontra nelle testimonianze di quanti raccontano il difficile stato entro cui si muove la ricerca nel nostro Paese, nei rapporti ufficiali, e non, in cui si comparano a nostro sfavore le situazioni dei diversi paesi, ma soprattutto nel modo disorientante in cui viviamo quotidianamente i tagli alle risorse disponibili per nuove ricerche e nuovi ricercatori.
Di fronte a questa situazione le risposte non solo tardano a venire ma sono frammentarie e non sufficienti a garantire quanto sarebbe necessario per condurre col giusto respiro quei programmi di ricerca innovativi che sarebbero necessari. Si rincorrono, com'è noto, proposte di legge per la modifica degli assetti soprattutto in alcuni campi che interessano direttamente le possibilità di sopravvivenza (se non di sviluppo) della ricerca universitaria: il reclutamento dei nuovi quadri, il sistema dei finanziamenti, i criteri di valutazione della qualità dei prodotti.
Per i primi, i tagli sono consistenti e per i prossimi anni si ventila un ridimensionamento del numero di ricercatori e docenti.
Per i secondi, appare sempre più difficile garantire quel supporto economico che consentiva di mantenere viva l'aspirazione verso la ricerca di base di quanti lavorano nell'università. E' chiaro, infatti, che su questa si basa il ruolo da sempre attribuito all'evoluzione del pensiero, alla riflessione sul passato, alla comprensione dei mutamenti in atto (e ve ne sono tanti) che le università dalla loro fondazione hanno sempre considerato come patrimonio e quasi ragione del loro stesso esistere.
Per quanto riguarda la valutazione, infine, ci si sta orientando verso criteri di misurazione di tipo parametrico che certamente poco si confanno a quanto prima evidenziato in merito al "pensiero", alla "riflessione", alla "comprensione" che dovrebbero caratterizzare l'università.
L'equivoco sta infatti nel giudizio ambiguo che si vuole attribuire in questi ultimi tempi all'università: onnicomprensivo della capacità di "gestire" (ci si passi l'espressione poco felice) l'evoluzione culturale della società, da una parte, di mera convenienza economica per la formazione di "quadri" funzionali ai processi produttivi, dall'altra.
La ricerca delle università si riconosce da sempre per l'autonomia elaborativa e la capacità di giudizio critico che essa riesce a mantenere e ad accrescere. Sono peraltro diversi i tempi su cui imprese, soggetti pubblici e università calibrano il loro lavoro: tempi relativamente brevi per i primi, scanditi dall'esigenza di ritorni certi e misurabili in termini di business o di efficienza operativa (non si dovrebbe peraltro escludere anche di qualità); tempi inevitabilmente più lunghi per le università che devono tenere conto della loro missione di ricerca così come di quella didattica e formativa.

In questo secondo volume degli Annali non abbiamo voluto dare risposte a tali temi; essi rimangono come naturale cornice del nostro lavoro, senz'altro immanenti ma per certi versi solo fattori di valutazione delle nostre possibilità di azione, in parte ragione dei limiti che esprimiamo come capacità elaborativa e giustificazione delle nostra ansie.
Abbiamo cercato di proseguire il cammino avviato nel primo volume allorquando con l'espressione "Intersezioni" intendevamo favorire il confronto fra le diverse culture del nostro dipartimento (per origine, generazione di ricercatori e quindi esperienze: ciò sembra ricchezza e non confusione per un'elaborazione scientifica) che avrebbero potuto presiedere allo sviluppo di percorsi fra loro interconnessi e perché no intriganti. Il dialogo tra diversi muove dalla capacità di comunicare le proprie radici e le proprie ragioni, dal verificare appunto le intersezioni tra cammini differenti, dal cercare attraverso il confronto nuove mete da raggiungere e risultati comuni che si vogliono conseguire.

Gli obiettivi del primo numero degli "Annali" dal titolo "Intersezioni" erano mirati tanto a far emergere caratteri comuni e interazioni tra i ricercatori dei diversi ambiti, quanto a evidenziare le differenze di approccio, di metodo e di contenuto. Quelli del secondo numero sono andare ancora più a fondo nella natura intima delle ricerche in corso, anche a rischio di esporsi in misura maggiore alla critica di quanti potrebbero giudicare alcune di esse come binari morti, divagazioni poco centrate rispetto ai temi di interesse e competenza del Dipartimento. Il suo titolo è pertanto "Nella Ricerca".

In primo luogo il termine "Annali" non va confuso con "Annuali", vale a dire che non è tra gli obiettivi prefissati dare alle stampe una raccolta di saggi a cadenza annuale, piuttosto far emergere alcune tra le attività significative di ricerca del Dipartimento di Architettura e Urbanistica per l'Ingegneria, in particolare quelle che, anche sfuggendo alla gravitazione di altri ambiti ancor più regolamentati, possono qui trovare un luogo appropriato di riflessione, divulgazione e confronto. Ciò peraltro non deve far sorgere il sospetto che pubblicare sugli "Annali" sia un atto dovuto, che i saggi proposti non vengano passati al vaglio attento di una redazione valutativa.
Luogo di confronto e dibattito, tanto che alcuni testi possono essere intesi in continuo e aperto dialogo nel tempo, gli "Annali" intendono scandire, con una certa duttilità temporale rispetto ad un'unica rivoluzione terrestre, il ritmo delle riflessioni scientifiche che si compiono nel Dipartimento, offrendo un luogo privilegiato non solo di riflessione ma anche di stimolo culturale.

Poi la precisazione del tema di questo secondo volume "Nella ricerca" vorrebbe dare il senso della prosecuzione del "viaggio" che si sta sviluppando all'interno del Dipartimento per chiarire i contenuti del nostro lavoro e portarli al confronto. Il titolo si incardina sulla preposizione che lo caratterizza. "Nella", e la sua traduzione inglese "Inside" appare ancor più significativa (the part lying within, inner side, interior; Webster New World Dictionary), è un invito a proporre contributi che esprimano non solo i possibili risultati delle ricerche, ma altresì le motivazioni che le hanno determinate, i percorsi seguiti, le tensioni che le hanno accompagnate. Al lettore (sia noi stessi ricercatori del Dipartimento che quanti, all'esterno, avranno l'interesse e la curiosità di leggere i diversi contributi) va l'invito di collocarsi all'interno dei testi, di cogliere il senso di quanto si è voluto descrivere, le tesi sintetizzate negli abstracts che ne hanno guidato lo sviluppo, via via fino al linguaggio adottato e alle illustrazioni a corredo.

Questo volume degli Annali si manifesta quindi come espressione della volontà dei ricercatori di mettere a nudo se stessi per favorire il riconoscimento non solo delle loro singole identità ma anche e soprattutto di quelle collettive del Dipartimento.
Da qui l'apertura alla partecipazione dei docenti, dei ricercatori, dei dottori e dottorandi di ricerca, alimento essenziale dell'attività del Dipartimento e al contempo cartina di tornasole dell’efficacia della sua attività complessiva.
Un terzo carattere che emerge dalla prima esperienza si lega alle possibili prospettive del percorso che si è avviato.
Vi è un naturale forte rapporto tra la ricerca e la formazione. Schemi ormai in parte superati individuavano la formazione del progettista attraverso processi deduttivi e nozioni consolidate da "usare" nella professione. La dinamica che coinvolge la nostra società sta tendendo a rendere obsoleti tali schemi anche nelle facoltà di ingegneria: queste facoltà, com'è noto, per storia non lontana (insita nella creazione delle scuole politecniche) hanno svolto il ruolo di formazione di tecnici coerenti con i processi di produzione, riducendo quell'apporto critico che caratterizza l'università in quanto tale.
Le tradizionali cattedre di "architettura tecnica", di "composizione architettonica", di "tecnica urbanistica" si trovavano infatti continuamente a un bivio: o legare la formazione ai canoni "tecnici" che orientavano le facoltà di ingegneria, o vivere un certo isolamento culturale se non addirittura una contrapposizione, peraltro non compresa, a tali canoni.
Oggi il quadro sta mutando: stanno penetrando nella cultura delle facoltà tecniche assunzioni concettuali prima eluse: basti pensare a quanto emerge dall'osservazione della continua mutevolezza sociale ed economica delle condizioni al contorno, dall'accettazione di paradigmi come il rischio e l'incertezza, dalla conseguente presa di coscienza della relatività delle scelte in presenza di una sempre maggiore complessità. Tutto ciò sembra essere divenuto un contraltare al precedente determinismo.
L'osservazione si può estendere alle modifiche intervenute negli ultimi vent'anni agli apparati didattici e alla loro organizzazione. Ne sono testimonianza: la moltiplicazione dei corsi di laurea con settori di studio diversi dal tradizionale ingegnere civile (come è il caso di ambiente e territorio o di trasporti), l'articolazione dei processi formativi in diversi livelli (di laurea breve, specialistici, della cosiddetta laurea europea quinquennale di ingegneria edile-architettura, di master, fino al dottorato di ricerca).
Da una parte, quindi, i "saperi" disciplinari stanno perdendo il loro valore istituzionale articolandosi in moduli formativi che risentono più direttamente dei profili di ricerca che i singoli docenti portano avanti; dall'altra, al di là degli aspetti formali (il dipartimento si occupa della ricerca, i corsi di laurea della didattica), nel dipartimento convergono le sintesi di importanti processi formativi divenendone l'essenza.
Il rapporto con la ricerca, d'altronde, si esprime sempre più attraverso il coinvolgimento degli studenti: basta guardare l'incidenza che hanno nella letteratura del settore i contributi di sperimentazione che provengono dalla didattica.
Per queste ragioni sembra interessante suggerire l'idea di dedicare un terzo volume degli "annali" a questo tema, sia nei confronti dei contributi di ricerca didattica prima richiamati, sia delle valutazioni critiche che possono provenire dalle diverse innovazioni formative.
In fondo una didattica che si sviluppa, come nel nostro caso, in più corsi di laurea e in diversi livelli formativi può essere fattore di unione e divisione intellettuale fra i membri di un Dipartimento: di unione per quanto riguarda la tensione verso un obiettivo di fondo comune; di divisione per i compiti, spesso molto onerosi ed "oscuri" che richiede nel suo svolgimento e per le relazioni diverse che naturalmente si instaurano con gli altri interlocutori del processo formativo.
Si tratta di recepire ulteriori materiali per una riflessione sulla natura del Dipartimento e sui possibili obiettivi comuni da perseguire.

La ricerca in architettura e urbanistica è soggetta a vampate alcune delle quali, una volta riconosciute come ambiti fondativi, si stabilizzano permanentemente, altre che invece si volatilizzano e scompaiono. Sono utili sia le une sia le altre, le prime dando luogo a una sedimentazione dei saperi, le seconde mantenendo viva e attiva la sperimentazione che, come si sa, non può produrre sempre e solo invenzioni e scoperte, talvolta anche ipotesi che vengono invalidate anche molto rapidamente. Ma, è risaputo, non per questo esse vanno ritenute inutili in quanto, per dirla con Karl Popper, la loro falsificazione determina in ogni caso e ancor più chiaramente qual è la direzione da seguire. Pertanto la ricerca deve mantenersi aperta anche ai rischi di un possibile fallimento, a risultati talvolta inutili, errati o pleonastici, se si intende lasciarle la possibilità di indagare a fondo la natura dei fenomeni. Solo talvolta si potrà trovare un'intuizione che, col tempo, si potrebbe rivelare giusta e utile, per l'architettura, per l'urbanistica, per l'ambiente e il territorio, per la cultura in genere.
Ma la ricerca è, metaforicamente, come uno stormo di uccelli che, con spettacolari volteggi chiaroscurali e sfumati, disegna nel cielo immagini di onde del mare, colline, pianure, picchi montuosi, volti umani, che si addensano in ipotesi urgenti e si diradano in necessarie e opportune ricapitolazioni tematiche.
La morte della ricerca è soprattutto nella sua eccessiva burocratizzazione, nella sua perdita di capacità nel gettare ponti sottili su altre discipline, non solo interne, ma anche con il resto della comunità scientifica. Ecco il motivo per cui, per non competere con il nostro passato, "Intersezioni" viene superato da un'idea più vasta che, continuando ad alimentare il dibattito collaborativo del DAU, si apre a realtà più vaste di quelle di una collegialità ristretta.
Capire cosa c'è oltre, interrogarsi su tempi diversi rispetto a quelli ai quali siamo abituati, offrire ipotesi anche azzardate ma utili a operare opportune revisioni tematiche, cambiare il prisma che filtra la realtà delle cose per rendersi conto che talvolta è possibile e opportuno operare anche delle ristrutturazioni cognitive, tutto questo ha spinto a dilatare le intersezioni dei saperi dipartimentali estendendoli oltre le sue mura fisiche e concettuali.
Con questa premessa, registrata la difficoltà ma non l'impossibilità di costruire nel breve periodo un comune disegno strategico per la ricerca che unisca ancor di più visioni e competenze, in questo numero degli Annali sono rappresentate le componenti scientifico-disciplinari che nel linguaggio corrente e spesso solo burocratico ci distinguono: la composizione architettonica, l'urbanistica, la pianificazione, l'architettura tecnica, il restauro e il risanamento degli edifici, l'architettura integrale, la storia. Le distinzioni tra tali componenti si rivelano a volte importanti, a volte invece prevalgono le possibili relazioni e ciò che emerge è una comune enfasi a cogliere e a dare un senso comune ai cambiamenti cui stiamo assistendo. Tra di esse rimane comunque intatta la volontà di conoscere, reinterpretare, svelare, indagare la reale misura delle intersezioni possibili nella ricerca.

I caratteri comuni ai saggi sono:
-  il progetto posto al centro delle riflessioni, in modo più o meno esplicito, teso alla ricerca dei molteplici nessi disciplinari che lo motivano e determinano;
-  i "nessi" funzionali, formali, costruttivi, tra le categorie sociali, economiche, scientifiche e l'intervento che si è chiamati a fare, sottoposto alle continue modifiche e contaminazioni degli input;
-  il rapporto tra locale e globale, che influenza e incide sulla scala delle scelte progettuali a favore del recupero di dimensioni e interessi più intimi su temi quali il paesaggio, gli spazi pubblici, la natura fino agli “alberi”, il recupero urbano ed edilizio, i diversi modi di vivere la città, le modifiche delle forme di consumo, la relatività delle scelte, il bisogno di rinnovare i metodi del progetto ampliandone la condivisione, le ipotesi di ricapitolazione evolutiva del progetto;
-  il ruolo crescente attribuito alle componenti ambientali in tutti i processi progettuali in atto;
-  l’essere nella ricerca come aspirazione individuale e al tempo stesso collettiva, come condizione culturale aperta e dinamica, come necessità sociale.

Un ulteriore carattere è insito nel richiamo a Roma, al suo passato e al suo divenire, se ne enfatizzano i valori ma al contempo i drammatici episodi del suo sviluppo recente. Questi ultimi sembrano mortificare i fondamenti della sua cultura bimillenaria ma sono altresì alimento per comprendere le contraddizioni dell’oggi e della confusa dinamica metropolitana che investe la città.

Anche questa volta il volume affronta una trasversalità di temi rispetto ai "raggruppamenti disciplinari" dai quali emergono tre ambiti tematici:

Ipotesi di ricerca sul progetto
La ricerca nel progetto e nella didattica
Riflessioni sulle mutazioni dello spazio antropico

E' peraltro lecito che ogni contributo, o parte di esso, abbia voglia di appartenere anche a un altro o ad altri raggruppamenti. E’ pertanto sia per rappresentarne una sintesi sia per facilitarne la lettura che qui di seguito vengono introdotti i contenuti dei singoli contributi, raggruppati nei tre ambiti tematici su proposti e “messi in fila” sulla base di un criterio oggettivo, quello alfabetico, senz’altro riduttivo rispetto alla ricerca di ulteriori relazioni.
 

Ipotesi di ricerca sul progetto

In "La rappresentazione e la gestione della conoscenza tecnica nel processo collaborativo di progettazione dell'architettura" Gianfranco Carrara affina ulteriormente la teoria di una progettazione collaborativa articolando su più livelli la complessa struttura di un'interattività tra gli attori nei processi di rappresentazione, comunicazione e gestione del processo progettuale e della conoscenza finalizzata al miglioramento della qualità del prodotto finale.

In "Creatività, Progettazione, Architettura (e ICT): alla ricerca di 'incubatori' e di interfacce" Antonio Fioravanti pone l'accento sul fatto che la creatività è in grado di operare una sintesi tra esigenze contrapposte, innestando un livello maggiore di conoscenza. Ne consegue che oggi la vera creatività nell'ideazione di un'opera complessa vuol dire soprattutto mettere a punto procedure collaborative in grado di trasformare il progetto in processo.

In "Evoluzione in architettura tra scienza e progetto" Ruggero Lenci pone una questione: è possibile intercettare, anche in architettura, le radici di quei saperi che concorrono a formulare di una teoria dell'evoluzione? Accettato che il dialogo tra scienziati e progettisti mette costantemente in atto il dramma di un conflitto incontenibile, anche nella nostra disciplina risulterebbe valido l'assunto haeckeliano secondo cui l'ontogenesi ricapitola la filogenesi.

In "Il comporre come fenomeno virale" Franco Purini propone un'ipotesi sulla natura e sulla fenomenologia dei processi generativi dell'idea architettonica che segnano la ricerca compositiva. Le immagini a corredo del testo, che ne indirizzano la lettura, sono per lo più quelle della chiesa di San Giovanni Battista e Lecce (1999-2006) progettata con Laura Thermes, e dei diagrammi virali recentemente elaborati con Sara Petrolati.

In “Attualità del pensiero di Gianfranco Caniggia: elogio del tipo” Marcello Rebecchini, addentrandosi in un’ermeneutica caniggiana sui temi del tipo edilizio visto come elemento spontaneo (a priori), o critico (a posteriori) conformante il tessuto urbano, quindi determinando il maggior o minor rendimento della città nel suo complesso, torna a trattare un tema a lui molto caro, quello del fondamento tipologico dell’architettura.

In "Un ambiente didattico per la simulazione del processo progettuale collaborativo" Armando Trento rendiconta il lavoro svolto nell'ambito del dottorato di ricerca sia a Roma sia a Berkeley sul tema della collaborative architecture di cui Gianfranco Carrara è tutor. Stante il fatto che l'informatica ha trasformato il modo di esplorare, verificare e comunicare le idee progettuali, la ricerca si occupa di procedure collaborative innovative su base informatica.
 

La ricerca nel progetto e nella didattica

In "Blowing in the wind - Nella ricerca di un vento sostenibile" Fabrizia Benedetti Valentini identifica il tema dell'interazione del vento con l'ambiente costruito, un'importante risorsa ancora poco sfruttata e studiata, certamente meno rispetto al sole. Nella sua tesi di dottorato si propone di analizzare le correlazioni con il benessere nei luoghi chiusi e la morfologia dell'edifico con il risparmio energetico.

In "Limite e identità nell'architettura contemporanea tra riflessioni concettuali e esiti progettuali" Paolo Cavallari e Fulvio Scarinci lavorano sul concetto di limite come archetipo architettonico determinante per l'identità degli edifici nella storia. Frontiera sulla quale si consuma il dramma tra i vari sistemi interagenti nel progetto, il limite è il luogo privilegiato nel quale si palesano i caratteri dell'architettura attraverso sperimentazioni, errori, risultati originali.

In "Lo spessore della trasparenza nell'architettura contemporanea" Fabio Cutroni si occupa dell'involucro architettonico evidenziando come le tamponature esterne opache, ermetiche e impenetrabili sono state sostituite dagli involucri traslucidi, da membrane filtranti che solo apparentemente separano gli spazi interno ed esterno, così da produrre nella ricerca contemporanea una rigenerazione del linguaggio architettonico.

In "Insegnando architettura (imparando architettura), note, appunti, indizi e congetture su alcuni aspetti attuali dell'attività di ricerca" Raffaele Marone si chiede come insegnare e in che modo inquadrare tale attività in una visione più ampia, imperniata nel fertile rapporto tra attività di ricerca e attività didattica. Imprimendo un indirizzo sperimentale a una didattica orientata a generare nuovi significati attraverso forme e spazi, il progetto può produrre una proficua ricerca.

In "Sperimentazione e compatibilità nel progetto di un sistema di copertura per siti archeologici" Claudio Merler registra che in Italia i concetti di conservazione e valorizzazione del bene archeologico relativi ai sistemi di protezione delle strutture ruderali non rispondono a criteri sostenibili, reversibili e affidabili. Il lavoro, frutto di una ricerca di dottorato, propone sistemi leggeri in alluminio a protezione dei siti archeologici minori extraurbani.

In “Temporaneamente costruibile. Una prospettiva sostenibile per l’abitare” Marianna Miglionico rileva che nella produzione abitativa, sostenibilità e temporaneità stanno assumendo un’importanza sempre crescente, influenzando il processo edilizio in particolar modo con l’inserimento di nuova tecnologia basata su componenti assemblabili. Il saggio tratta aspetti quali il ciclo di vita, la durabilità, la riciclabilità, la reversibilità, la leggerezza dell’impronta ecologica in architettura.

In "La 'casa adatta': una nuova tipologia?" Maura Percoco registra che le trasformazioni sociali e culturali in atto, prime tra tutte la caducità e transitorietà dell'esistenza, hanno fatto maturare un nuovo concetto dell'abitare che richiede modalità flessibili, le sole oggi ritenute adatte. Se da un lato la società dell'incertezza appare pronta ad accettare nuovi modelli abitativi, dall'altro il progetto della residenza si sta occupando delle abitudini e dei desideri del nuovo abitante.

In "Il contributo di un Ingegnere ad una tesi sperimentale nella Facoltà di Architettura: La ricerca progettuale del connubio tra innovazione formale e tecnica" Cristiano Tomiselli illustra i risultati ottenuti in una tesi di laurea nella quale è stata usata una membrana che disegna un andamento geometrico libero rispetto ai metodi tradizionali. L'involucro tecnico, liberato dal peso, svincola la forma architettonica dalle regole della geometria euclidea.
 

Riflessioni sulle mutazioni dello spazio antropico

In "Strumenti e procedure per l'Urbanistica concertata: stato dell'arte e direttrici di ricerca" Antonio Cappuccitti individua gli strumenti e le procedure urbanistiche che danno luogo alla cosiddetta Urbanistica concertata. Il contributo delinea un quadro delle direttrici di ricerca che evidenziano i caratteri essenziali dell'urbanistica concertata, ponendo in rilievo aspetti problematici e prospettive di sviluppo.

In "Pratiche e politiche urbane. Spunti di riflessione a partire da una ricerca in corso" Carlo Cellamare sistematizza gli esiti di alcune ricerche ermeneutico-urbanistiche sul senso e sulle storie dei luoghi, sui processi di (ri)appropriazione dei luoghi, sui processi di costruzione di "beni comuni" urbani, sui conflitti urbani, sul rapporto tra pratiche urbane e progettualità diffusa, sui processi collettivi di progett-azione, sui contesti di interazione.

In “Progettare con gli alberi, note per i progetti di miglioramento degli spazi pubblici nella città esistente” Paolo Colarossi tratta il tema degli alberi nei progetti per spazi pubblici nella città esistente e di nuova edificazione. Il tema è affrontato sotto vari aspetti: i valori simbolici degli alberi, l'albero in quanto oggetto di speciali caratteristiche formali, le potenzialità progettuali degli alberi in relazioni con le memorie collettive e con i caratteri dei luoghi.

In: "I 'luoghi' della riqualificazione urbana: logiche progettuali" Elisabetta Collenza, nel vasto tema del recupero delle aree dismesse, persegue l'idea di individuare le regole per modellare alcuni critici rapporti spaziali esistenti nella città di Roma, prevalentemente lì dove sono presenti aree dismesse e degradate in fregio ai tracciati ferroviari, che si adattino alla morfologia dei "luoghi" e ne valorizzino la memoria storica.

In "Architettura ed Ingegneria nelle sale cinematografiche storiche di Roma alla luce delle recenti trasformazioni in multisala" Antonio Fiore focalizza l'attenzione sulle sale cinematografiche romane trasformate in multisala. Il più delle volte questo "aggiornamento tecnologico" motivato da mire speculative, ha avuto luogo in un clima di disattenzione critica, vero e proprio lasciapassare di una sistematica riduzione della qualità architettonica degli spazi originari.

In "La corte elemento distintivo del 'cromosoma Mosca' " Fabiola Fratini riporta in tempo reale ciò che sta avvenendo a Mosca, ovvero la sistematica sostituzione, che secondo il piano regolatore del '99 avverrà entro il 2010, delle grandi corti alberate dei quartieri degli anni '50, le krusciovke, con edifici alti fino a 22 piani. La "modernizzazione" sta coinvolgendo anche le corti storiche inserite tra le vie e i vicoli centrali, i pereulok.

In “Immagini urbane e turismo sostenibile” Giuseppe Imbesi avverte che l’incidenza del sempre più diffuso fenomeno turistico non sia più contenibile all’interno delle eteree sponde economico-sociali, ma abbia da tempo sconfinato nei territori vivi dell’urbanistica, richiedendo la messa in atto di procedure a favore di una corretta convivenza tra i sempre più “onnivori” flussi turistici e la vita di tutti i giorni dei residenti nell'uso della città.

In "La Casa Madre dei Mutilati di Guerra a Roma: un contributo per una lettura storico-critica" Gianluigi Lerza individua i caratteri del linguaggio architettonico al quale Marcello Piacentini affida i due grandi momenti della storia in quest'opera, tra loro distanziati temporalmente di otto anni. L'attenzione piacentiniana risulta essere rivolta alla realtà dell'oggetto, al processo formativo dell'edificio visto nel suo contesto storico e ambientale.

In "Forme della città e spazi metropolitani tra mutamenti e permanenze" Claudia Mattogno argomenta una parte dei risultati della ricerca di interesse nazionale che si occupa della morfogenesi dello spazio urbano, indagando l'evoluzione nel tempo di alcune funzioni caratterizzate dalla loro permanenza nella storia della città. Nove città italiane vengono comparate su itinerari evolutivi, specificità urbane, mutamenti e permanenze.

In "Spazi coperti urbani: nuove identità dei luoghi di aggregazione della città contemporanea" Elena Clarissa Nicoli si occupa di quegli spazi urbani nei quali avviene un processo di identificazione sociale e simbolica di interesse pubblico. Nella città contemporanea tali luoghi non coincidono più con le tradizionali piazze e strade, quindi con spazi aperti, associandosi invece con l'idea di uno spazio interno, spesso a gestione privata.

In "La città pubblica nella Roma contemporanea: un quadro d'insieme" Elio Piroddi risale alle cause della morfologia romana nella quale si trova benessere e degrado, qualità e sciatteria, miscelati come in una sorta di action urbanism attraverso il quale quartieri di lusso e borgate spontanee, case ricche e case povere, borghi, villaggi giardino, cittadelle e asteroidi, sono tenuti insieme unicamente dalle reti di trasporto.

In "L'attrezzatura per i servizi a scala locale: verso un progetto condivisibile" Alberta Solarino si occupa del legame tra rilievo del fabbisogno di attrezzature collettive a scala locale per le attività pubbliche di servizio alla popolazione e il relativo progetto. Dallo studio emerge l'esigenza di revisionare la strumentazione urbanistica a disposizione, relativa in particolar modo alla quantificazione della domanda di servizi pubblici a livello locale.
 
 

Introduction

This second volume of Annals appears at a delicate moment for the Italian university and its future as a public institution not only of higher education but also for overseeing basic research.
This role seems to be under fire, perhaps because it is considered obsolete, or perhaps because as our society is developing at the present moment opportunities for reflection and study have taken many new forms, and not everyone recognises the university as a centre of excellence in thought. This strikes at the very function of research.
The situation is certainly serious, as is witnessed by the many official and unofficial descriptions of the difficult state of research in Italy, which seems at a disadvantage compared with other countries, but above all by the bewildering way in which every day the cuts to resources available for new research and new researchers make themselves felt.
Response to this situation has not only been slow but fragmentary, and inadequate to guarantee the necessary funds to carry out properly the necessary innovative research programmes. As we know, new law follows new law, modifying the existing system, above all in some areas that directly affect the possibility of university research not just developing, but even surviving: the recruitment of new personnel, the financing system, and the criteria for quality evaluation of what is produced.
As regards recruitment, the cuts are substantial, and for the immediate future there is talk of reducing the number of researchers and lecturers.
As regards financing, it seems more and more difficult to guarantee the economic support that kept alive the basic research aspirations of those who work in the university. Clearly, the university's role in the development of thought, reflection on the past and understanding of ongoing changes (and there are many) is based on this, and ever since their foundation the universities have always regarded this role as their heritage and almost their “raison d'etre”.
As regards evaluation, we are moving towards parametric criteria of measurement that certainly have little to do with the above-mentioned "thought", "reflection" and "understanding" that should characterise the university.
At the root of the misunderstanding is the ambiguous vision of the university that has recently become current: all-embracing in its capacity to "manage" (excuse this somewhat unhappy expression) the cultural evolution of society, on the one hand, and a cheap way of educating the personnel for industry, on the other.
University research has always been recognised as maintaining and improving autonomy in elaborations and capacity for critical judgement. However, industry, public bodies and the university have different tempi: the first two relatively short, marked by the need for certain returns that can be measured in terms of business or operative efficiency (though quality should not be excluded); tempi inevitably much longer for the universities, which need to bear in mind their mission of research as well as that of teaching and education.

Our aim in this second volume of Annals was not to respond to these topics; they serve as a natural frame for our work, and are implicitly present, but in some respects are only factors to evaluate our room for manoeuvre, and to partly explain our limitations and justify our anxiety.
We have tried to follow the course plotted in the first volume, where the term "Intersections" was designed to encourage discussion between our department's various cultures (in terms of origin, generation and experience - which for academic study is a source of wealth not confusion) in the hope that these different cultures might lead in interconnecting, and even intriguing, new directions. A dialogue of the different starts from being able to communicate one's roots and reasons, from examining the intersections between different paths, and from using discussion to reach new destinations and to achieve joint results.

The aims of the first number of "Annals", entitled "Intersections" were both to bring out shared characteristics and interactions between researchers from different backgrounds, and to bring out the differences of approach, method and content. The aims of the second number are to examine in greater detail the intimate nature of the research in course, even at the risk of exposing ourselves to the criticism of those who might judge some of them as dead ends or digressions that had little to do with the themes which were clearly within the Department's area of competence. Its title is then “Inside the Research”.

First of all, the term "Annals" should not be confused with "Annuals" - our underlying aim is not that of printing this collection of essays every year, but rather to make known some of the research activity going on in the Dept. of Architecture and Town Planning for Engineering, in particular, some that might escape the gravitation of other more regulated environments, can here find an appropriate place for reflection, publication and discussion. This should not give rise to the suspicion that publishing in the "Annals" is a duty, or that the essays offered are not carefully scrutinised by the editors, who evaluate each of them.
The "Annals" are intended as a place for discussion and debate on the department's work - indeed some texts can be seen as in constant and open dialogue in the course of time - but a place of discussion, reflection and cultural stimulus that will be slightly more flexible in its temporal rhythms than those of the revolution of the earth.

Also, the explanation of the theme of this second volume "Inside research" is intended to give the sense of a continuation of the "journey" that is developing within the Department to clarify the contents of our work and compare them. The title hinges on its preposition. "Inside" (the part lying within, inner side, interior; Webster New World Dictionary) is an invitation to offer contributions that express not only the possible results of research, but equally the reasons behind it, the paths followed, and the pressures that accompanied it. The reader (whether us, the researchers in the department, or those outside with the interest or curiosity to read the various contributions) is invited to enter inside the texts, to grasp the sense of what we have wanted to describe, the arguments summarised in the abstracts which guided their development, and so on down to the language used and the accompanying illustrations.

In this volume of Annals, then, the researchers want to lay themselves bare, not only to reveal their individual identities but also and above all the collective identity of the department.
That is why lecturers, researchers, postgraduates and research students have all taken part. Together they are what drives the work of the department and at the same time a weathervane of the overall effectiveness of that work.
A third characteristic that emerges from the first experience can be linked to the possible prospects for this journey.
There is a strong, natural relation between research and education. The old view, which saw the architect's education as a matter of deductive processes and established ideas to "use" in his profession are starting to look old-fashioned. The dynamic at work in our society is tending to make this view obsolete in the engineering faculty too: these faculties, as we know from their recent history (they were intrinsic to the creation of the polytechnics), have had the role of training technicians for industry, limiting that critical element typical of the university proper.
The traditional courses of "architectural technique", "architectural design" and "town-planning technique" found themselves constantly at a crossroads: either to link education to the "technical" canons that guided the engineering faculties, or to isolate themselves from these canons, or to entrench themselves in misunderstood opposition to them.
Now the picture is changing: the technical faculties are absorbing concepts that had previously escaped them: one need only think of what emerges from observing the constant social and economic mutability of the surrounding conditions, from accepting paradigms such as risk and uncertainty, and from consequently realising how relative choices are in the midst of this ever greater complexity. All this has counteracted the previous determinism.
Looking beyond, there are also the changes over the last twenty years to the teaching system and its organisation, as witnessed by: the multiplication of degree courses with areas of study different from the traditional civil engineering (such as environment and territory or transport), the breaking down of the educational process into different levels (short degree, specialisation, the so-called five-year European degree in engineering building-architecture, MA, and Ph.D).
On the one hand, the fields of knowledge in the various disciplines are losing their traditional institutional value, being broken down into modules that are more closely connected with the current research interests of the individual lecturers; on the other, apart from the formal aspects (the department deals with research, the degree courses with teaching), the synthesis of important educational processes converge in the department and become its essence.
The relation with research, however, is always expressed through student involvement: one need only look at how research work is influenced by experimental contributions deriving from teaching.
That is why it seems interesting to devote a third volume of the "annals" to this subject, both for the contributions of teaching research referred to above, and for the critical evaluations that may come from the various educational innovations.
When you come to think of it, teaching that develops, as in our case, in various degree courses and educational levels can be a factor of intellectual unity and division between a department's members: unity as regards the drive towards a shared underlying aim, division for the tasks, often very onerous and "obscure" that are required, and for the various relations that are naturally established with the other members of the educational process.
It is a matter of absorbing further materials for reflecting on the nature of the department and the possible common aims it can pursue.

Research in architecture and town planning is subject to little flares of activity, some of which, as soon as they are recognised as formative, settle permanently, while others vanish into thin air. Both have their uses, the first as they give way to a sedimentation of knowledge, and the second because they keep experimentation alive and active, which, as we know, cannot always produce inventions and discoveries, but sometimes conjectures that can be invalidated very rapidly. But, we also know, this does not mean they are useless: as Karl Popper has taught us, their falsification always shows more clearly the direction to be taken. This means that research needs to remain open to the risk of failure, of results that might be useless, misguided or pleonastic, if it is to be able properly to investigate the nature of its subject matter. Only occasionally can one have an intuition that, with time, might prove right and useful for architecture, town planning, the environment, and for culture in general.
But research is, metaphorically, like a flock of birds that, with spectacular chiaroscuro and subtly shaded acrobatics, design in the sky images of waves, hills, plains, mountain peaks and human faces that concentrate in urgent conjectures and then disperse in necessary and timely thematic recapitulations.
Research dies above all when bureaucracy takes over, when it loses its capacity to throw out bridges to other disciplines, not only internal ones, but also with the rest of the scientific community. That is why, so as not to compete with our past, "Intersections" now gives way to a larger idea that, while continuing to feed debate and collaboration in the department, also opens to a wilder world than that of our immediate colleagues.
Understanding what lies beyond, considering different time-scales from those to which we are used, offering conjectures that might be wild, but also useful for revising our ideas on some subjects, changing the prism that filters the reality of things so as to realise that it is sometimes possible and necessary to carry out some cognitive reorganisation - all this has led us to dilate the intersections of departmental knowledge, extending them beyond its physical and conceptual walls.
Having said that, and realising that it is difficult but not impossible to build up in the short term a shared research strategy that unites even more viewpoints and competences, in this number of Annals the following special interests are represented, that in the common and often only bureaucratic language distinguish us in: architectural design, town design and planning, technical architecture, restoration of buildings, integral architecture, and history. The distinctions between these components sometimes appear important, while sometimes it is the possible relations that are emphasised, and what emerges is a shared emphasis on seizing and giving a shared meaning to the changes we are witnessing. But we have not lost the desire to know, reinterpret, reveal and investigate the real extent of possible intersections inside the research.

The articles have some characteristics in common:
- the project placed at the centre of reflection, more or less explicitly, with the aim of seeking the many disciplinary links that cause and determine it;
- the functional, formal and constructive "links" between social, economic and disciplinary categories and the required operation, subject to the constant modifications and contaminations of the input;
- the relation between local and global, which influences and affects the scale of the design choices, favouring the restoration of more intimate dimensions and interests in landscape, public spaces, nature including "trees", urban and building restoration, the various ways of experiencing the city, the changes in forms of consumption, the relativity of choices, the need to renew design methods with greater collaboration, the hypothesis of the evolutionary recapitulation of the project;
- the growing role attributed to environmental elements in all the ongoing design processes;
- research as an individual aspiration as well as a collective one, as an open and dynamic cultural condition, as a social necessity.

An additional characteristic is inherent in the appeal to Rome, its past and its future, with an emphasis on its values but at the same time the dramatic episodes in its recent development. The latter seem to mortify the bases of its two thousand years of cultural history, but also help us to understand the contradictions of today and the confused metropolitan dynamics that assail the city.

Once again the contributions in the volume cross the boundaries of individual disciplines, but three general thematic areas clearly emerge:

Research Hypotheses in Design
Research in design and teaching
Reflections on Changes in Anthropic Space

It is natural, however, as last time, that each contribution, or part of it, also seeks to belong to another group or groups. And so it is only in the interest of ease of reading, if the contents of the individual contributions are now introduced, divided into the three thematic groups. They have been arranged alphabetically, which is no doubt reductive compared with other relations that might be sought.

Research Hypoteses in Design

In "The representation and handling of technical knowledge in the collaborative process of design in architecture" Gianfranco Carrara further refines the theory of collaborative design, giving a multi-level account of the complex structure of interactivity between those involved in representing, communicating and handling the design process and knowledge aimed at improving the quality of the final product.

In "Creativity, Planning, Architecture (and ICT): in search of 'incubators' and interfaces" Antonio Fioravanti stresses the fact that creativity can operate a synthesis between opposing needs, leading to greater knowledge. It follows that today true creativity in devising a complex work means above all finding collaborative procedures that can transform the project into a process.

In "Towards a theory of evolution in architecture: science, design and art" Ruggero Lenci poses a question: can architecture too intercept the roots of those forms of knowledge that contribute to formulating a theory of evolution? If the dialogue between scientists and architects constantly stages the drama of an uncontainable conflict, Haeckel's thesis that ontogenesis recapitulates phylogenesis would prove valid in our discipline too.

In "Design as a viral phenomenon" Franco Purini offers a hypothesis about the nature and phenomenology of the generative processes of an architectural idea that characterise design research. Most of the images accompanying the text in support of the argument are of the church of San Giovanni Battista at Lecce (1999-2006), designed with Laura Thermes, and of viral diagrams recently drawn up with Sara Petrolati.

In "Relevance of the thought of Gianfranco Caniggia: praise of types" Marcello Rebecchini returns to a subject dear to him, the typological basis of architecture. In the spirit of Caniggia, he explores the hermeneutics of building types seen as a spontaneous (a priori), or critical (a posteriori) element shaping the urban texture and so determining how much the city will yield overall.

In "A teaching environment for simulating the collaborative design process" Armando Trento describes his work for a research doctorate both in Rome and at Berkeley on the theme of collaborative architecture, which was supervised by Gianfranco Carrara. Given that computers have transformed our way of exploring, verifying and communicating design ideas, the research deals with innovative collaborative procedures using data processing.
 

Research in Design and Teaching

In "Blowing in the wind - In search of sustainable wind" Fabrizia Benedetti Valentini identifies the theme of the interaction of wind with the built environment, an important resource that is still little exploited and studied, certainly less than the sun. In her doctoral thesis she analyses the correlations between wellbeing and closed spaces, and between the shape of the building and energy-saving.

In "Limit and identity in contemporary architecture: conceptual reflections and project outcomes" Paolo Cavallari and Fulvio Scarinci work on the concept of limit as an architectural archetype that has been decisive for the identity of buildings in history. The limit is the frontier where is played out the drama between the various interacting systems of a project, and is the ideal place for displaying the characteristics of a building through experimentation, error and original results.

In "The importance of transparency in contemporary architecture" Fabio Cutroni deals with the architectural shell, showing how opaque, hermetic and impenetrable external partitions have been replaced by translucent shells - filtering membranes that only seem to separate the internal and external spaces, regenerating architectural language in contemporary research.

In "Teaching architecture (learning architecture), notes, memoranda, evidence and conjectures on some present-day aspects of research activity" Raffaele Marone wonders how to teach and how to make one's teaching part of a wider vision deriving from a fertile relation with research. If one's teaching is open to experimentation it can generate new meanings through forms and spaces, and the project can lead to fruitful research.

In "Experimentation and compatibility in the project of a system for covering archaeological sites" Claudio Merler notices that in Italy the ways of both protecting and exploiting an archaeological site do not answer to sustainable, modifiable and reliable criteria. This work is the result of a research doctorate and suggests light aluminium systems to protect minor archaeological sites outside the cities.

In "Temporary constructs. A sustainable prospect for living" Marianna Miglionico points out that in housing, sustainability and temporariness are taking on increasing importance, influencing the building process in a particular way with the inclusion of new technology based on pre-fabricated components. The essay deals with aspects such as the life cycle, durability, recyclability, reversibility, and the lightness of ecological traces in architecture.

In "Suitable homes: a new typology?" Maura Percoco suggests that ongoing social and cultural changes, particularly the transitory nature of existence, have brought about a new concept of living that requires flexible forms, the only ones that can be suitable for today. If on the one hand the society of uncertainty seems ready to accept new living models, on the other designs for homes are dealing with the habits and desires of the new inhabitants.

In "An Engineer's contribution to an experimental thesis in the Faculty of Architecture: In search of a union between formal innovation and technique" Cristiano Tomiselli illustrates the results obtained in a graduation thesis which used a membrane with a geometric line that is free of traditional methods. The technical shell, freed of its weight, releases the architectural form from the rules of Euclidean geometry.
 

Reflections on Changes in Anthropic Space

In "Tools and procedures for concerted town planning: state of the art and research principles" Antonio Cappuccitti identifies the tools and town planning procedures that give rise to what is known as concerted town planning. The contribution outlines the main research lines that bring out the essential characteristics of concerted town planning, drawing attention to problematic aspects and prospects for development.

In "Urban experience and policies. Reflections from some ongoing research" Carlo Cellamare systematises the results of some hermeneutic-town planning research on the meaning and histories of the places, on the processes of (re)-appropriation of the places, on the processes of constructing "shared goods" in the city, on urban conflicts, on the relation between urban experience and diffused design, on the collective processes of project-making, and on the contexts of interaction.

In "Designing with trees, notes for projects to improve public spaces in existing cities" Paolo Colarossi takes the subject of trees in projects for public spaces, both already existing and of new design. He deals with the subject in various aspects: the symbolic values of trees, the tree as an object with special formal charcteristics, the design potential of trees in relations with collective memories and with the characters of places.

In: "The 'places' of urban improvement: design logics" Elisabetta Collenza tackles the vast subject of the upgrading of neglected areas, seeking to identify the rules for modelling some critical spatial relations in the city of Rome, mainly where there are neglected areas along the railway lines that can be adapted to the morphology of the "places" and exploit their historical associations.

In "Architecture and Engineering in the old cinemas of Rome in the light of their recent change into multi-screen complexes" Antonio Fiore focuses on the Roman cinemas that have been turned into multi-screen complexes. Usually this "technological updating" has been for reasons of financial speculation, and the lack of critical attention has been effectively an invitation to systematically reduce the architectural quality of the original spaces.

In "The courtyard as distinctive feature of the 'Moscow chromosome' " Fabiola Fratini describes what is happening now in Moscow - that is, the systematic replacement, which according to the 1999 development plan will take place by 2010, of the great tree-lined courtyards of the districts of the 1950s, the krusciovke, with buildings 22 storeys high. This "modernisation" is also affecting the historical courtyards to be found among the central streets and alleyways, the pereulok.

In "Urban images and sustainable tourism" Giuseppe Imbesi warns that the impact of ever more widespread tourism can no longer be contained within purely economic-social confines, but has for some time crossed over into residential areas, requiring procedures that will make it easier for the ever more "omnivorous" tourist hordes to live side by side with the everyday life of those who live there in their use of the city.

In "The Centre for Disabled Ex-servicemen in Rome: a contribution to a historical-critical reading" Gianluigi Lerza identifies the characteristics of the architectural language of Marcello Piacentini in the two great moments in the history of this work, separated from each other by eight years. Piacentini focuses on the reality of the object, the process that gave form to this building, seen in its historical and environmental context.

In "Change and permanence in the forms of the city and metropolitan spaces" Claudia Mattogno discusses some of the research results of national interest dealing with the morphogenesis of urban space, investigating the development over time of some functions characterised by their permanence in the history of the city. Nine Italian cities are compared as regards their development, urban specificities, changes and permanent features.

In "Covered urban spaces: new identities for meeting-places in the contemporary city" Elena Clarissa Nicoli deals with those urban spaces where there is a process of social and symbolic identification of public interest. In the contemporary city these places no longer coincide with the open spaces of traditional squares and streets, but are associated with the idea of an internal space, often private.

In "The public city in contemporary Rome: an overview" Elio Piroddi traces the causes of Rome's present form, in which wellbeing and degradation, quality and slovenliness are mixed in a sort of action urbanism, in which luxury districts and spontaneous estates, rich houses and poor houses, suburbs, garden villages, enclaves and asteroids, are held together only by the transport system.

In "Service facilities at local level: towards an agreed project" Alberta Solarino deals with the link between registering the need for collective facilities at local level for public activities for the population and an actual project. Her study shows the need to revise the tools of town planning available, particularly as regards quantifying the demand for public services at local level.